 
                    Restituire un percorso di ricerca attraverso mezzi artistici significa rendere visibili non solo i risultati, ma anche le domande, le trasformazioni e le relazioni che si sono attivate lungo il cammino. Significa, prima ancora di condividere un esito, aprire uno spazio di senso collettivo.
 
            Nel processo di ricerca sociologica di We Propose, si è scelto di collaborare con artiste e artisti provenienti da ambiti espressivi differenti, con l’obiettivo di esplorare gli stessi temi affrontati dall’indagine empirica e di restituirli attraverso linguaggi diversi e complementari, in grado di offrire nuove chiavi di lettura e ulteriori sensibilità interpretative.
I risultati di questo processo non risiedono unicamente in ciò che è stato mostrato, ma in ciò che si è generato lungo il percorso. Un processo che, grazie al contributo di Houssem Ben Rabia (cineasta, attore e videomaker), Francesco Fiore De Conno (printmaker e artista visivo) e Wissal Houbabi (attivista, artista e scrittrice), continua a produrre domande sul significato dell’andare, dello stare e del tornare, nelle traiettorie esistenziali e simboliche di chi è originario di Marocco e Tunisia.
"Men Bled Le Bled. Cartografia delle anime mediterranee" è la performance audio-visiva realizzata da Wissal Houbabi, Houssem Ben Rabia e Francesco De Conno, presentata il 20 settembre 2025 nell’ambito della terza edizione di Festival Spore – rassegna artistica dedicata alle culture diasporiche, ospitata presso Kilowatt, Serre dei Giardini Margherita a Bologna.
Nata a partire dalle domande poste dal progetto We Propose, la performance prende forma da un viaggio artistico, poetico e politico, intrapreso da Wissal Houbabi (Marocco) e Houssem Ben Rabia (Tunisia), per esplorare il significato del "ritorno" dopo un’esperienza migratoria.
Un itinerario lungo 76 giorni e 11.629,4 km, attraversando territori, lingue, mezzi e memorie: in aereo, traghetto, taxi, pullman, treno, auto e a piedi. Un percorso che ha toccato luoghi simbolici e personali: da Bologna, Castel Bolognese, Forlì, Roma, Palermo fino a Tunisi, Mahdia, Sousse, Tlelsa, El Djem, Sfax, Kasserine, Khouribga, Rabat, Casablanca, Kasbah Tadla, e ancora Tunisi, Rabat, per poi tornare a Bologna.
Ne è nata una performance che restituisce, attraverso immagini, suoni e parole, la complessità di una ricerca che è al tempo stesso artistica, sociale e personale. Il contributo visivo e grafico di Francesco De Conno ha accompagnato il processo, traducendo in forma visiva l’intensità e la stratificazione di esperienze, incontri e sguardi raccolti lungo il cammino.
Al centro della riflessione: che cosa significa il ritorno per donne originarie del Marocco e della Tunisia che hanno vissuto una parte della loro vita in Italia? Attraverso il coinvolgimento attivo di altre donne e compagnə di viaggio, l’opera si fa spazio di rappresentazione e di ascolto, di domande condivise e risposte plurali.
Il risultato è più di una performance: è uno strumento di comprensione profonda, che mostra cosa significa costruire una ricerca qualitativa basata su interviste, relazioni e vissuti. Emozioni, silenzi, parole, corpi e sguardi diventano i materiali con cui si disegna una cartografia emotiva e politica dell’identità, della memoria e dell’appartenenza.
Un’opera viva, che invita a riflettere su cosa significa essere in movimento - fisicamente ed emotivamente - tra luoghi, storie e confini.
 
    Quello che segue è una parte del testo redatto durante il percorso di ricerca artistica, elaborato da Wissal Houbabi.
Ghorba - الغُرْبة - oltre ad essere “un luogo” è anche una condizione emotiva, è l’oblio.
Lmgharrab, chi vive lghorba e nel ghorba: essere estraneità, essere intimamente offuscato, essere fuori dalla propria luce, dalla propria Storia, aver superato il confine trovandosi nell’oblio.
Anime in movimento, anime che silenziosamente e discretamente tentano di trovare nuove fisionomie. Un’anima nell’estraneità si guarda nell’oblio per costruire, passo dopo passo, un nuovo senso di casa. Non è detto che ci possa riuscire, non è un mestiere che si insegna, ma per costruire una casa nel vortice dell’oblio, dove si poggia il primo mattone? E come si lavora senza direzione?
Da paese a paese, dal sud al nord, da una casa alla condizione di straniero e questo moto, che spostamento implica nella propria percezione di sé? Cosa cambia in noi? Cosa significa convivere con l’estraneità nella propria intimità più profonda? Cosa ci comunica la nostra anima, come si muove, cosa la rende differentemente pulsante, sgretolata, muscolare, camaleontica, trafitta?
 
            Perché sentiamo che essere davvero comprese è una pretesa quasi impossibile? Cosa significa entrare in connessione?
Ecco, la prima fondamentale distinzione è tra il pensare “sono straniero”, che allude alla condizione omologante e allo sguardo esterno del contesto di innesto, e il dire “convivo con l’estraneità” che preserva un proprio centro interiore in relazione con le circostanze.
Questo movimento, dal soggetto “straniero” alla persona che “convive con l’estraneità”, riporta al centro l’esperienza intima nelle sue particolarissime specificità.
Cosa significa per una persona che convive con l’estraneità, entrare in connessione profonda con l’altro? Quali condizioni si pongono come necessarie per incontrarsi davvero? Quali sono i limiti nel tragitto di due o più anime che provano a incontrarsi? Affinché si intreccino e si abbraccino nel punto più profondo che il nostro sentire può raggiungere?
Così come accade nel processo di ricerca, anche in quello di restituzione artistica corriamo il rischio di utilizzare in modo funzionale gli sguardi, le parole e le emozioni di chi partecipa alla ricerca e di chi con essa entra in relazione.
We Propose ha posto fin dall’inizio una particolare attenzione a questa dinamica, riconoscendo la complessità etica e relazionale che attraversa ogni forma di rappresentazione.
Anche il processo artistico che si è sviluppato all’interno del progetto, in quanto parte integrante del percorso di ricerca, non è estraneo a queste riflessioni. Ci siamo chiesti se, e in che modo, questo lavoro possa continuare a raccontare, oltre i suoi confini formali.
Nessuna opera artistica incarnata può essere veramente riprodotta senza la voce, il corpo e l’anima delle persone che l’hanno generata.
Per questo invitiamo chiunque senta il desiderio o la curiosità di approfondire cosa si cela dietro questa esperienza artistica a visitare il sito https://www.wiho.it/ e a scrivere direttamente all’artista all’indirizzo [email protected], che sarà lietə di dialogare e condividere il risultato finale di questa ricerca.